Sabato 28 marzo 2015 si è conclusa la terza edizione de Il dialogo creativo con l’appuntamento dedicato alle seconde generazioni e allo sport.
Nella saletta Degan della Biblioteca civica, il sociologo Mauro Valeri ha affrontato il tema della cittadinanza e del razzismo in ambito sportivo a partire dal libro Campioni d’Italia? Le seconde generazioni e lo sport, Sinnos 2014. Nelle varie discipline è evidente il problema dei ragazzi cresciuti in Italia ma che, almeno per la burocrazia, ancora italiani non sono. E così atleti forti, a volte campioni veri, sono costretti ad affrontare, oltre alle consuete rivalità sportive, sfide di tutt’altro genere.
Riflessioni di Marvin Bedel atleta della Polisportiva Villanova judo libertas invitato ad intervenire.
Campioni d’Italia? Le seconde generazioni e lo sport
Campioni d’Italia? Perchè un ragazzo per me italiano, in quanto nato in Italia, di seconda generazione, ossia figlio di immigrati stranieri, non può essere considerato tale?
Al giorno d’oggi la frase corretta da dire non è “immigrato in terra straniera”, bensì “italiano in una terra che non ti considera tale”.
Ho partecipato attivamente al dialogo dopo essere stato invitato a prendervi parte.
L’argomento principale di questo dibattito è stato il razzismo in ambito sportivo e i problemi legati alla cittadinanza, tutti abbiamo già sentito parlare di cori razzisti, insulti ai giocatori di etnie e religione diverse dalla nostra.
Cosa è emerso dal dibattito?
In Italia il razzismo nello sport è diffusissimo principalmente a causa della classe dirigente che si permette di avere un linguaggio poco adatto allo sport stesso, spesso insultando direttamente solo per il colore della pelle di una persona o cercando, come detto dal signor Valeri, di aggirare la Costituzione ed il Codice Civile tramite leggi ordinarie che favoriscono, per esempio, solo una piccola minoranza di stranieri ( esempio, si cercò di far ottenere cittadinanza ad un numero ristretto di immigrati in quanto promesse del calcio…).
Pratico uno sport secondo me diverso da molti altri e soprattutto dal calcio; da quasi 13 anni faccio judo, un’arte marziale orientale, giapponese. In questo sport non si è mai sentito parlare di razzismo, ne credo se ne sentirà mai.
Vi chiederete il perché suppongo; il judo è basato su una forma di rispetto reciproco non solo tra compagni di squadra, ma anche tra avversari, è uno sport basato sull’onore, sulla lealtà e sul rispetto delle regole e credo sia proprio questa la chiave per essere in armonia con se stessi e con gli altri.
Un’altra motivazione è sicuramente il fatto che il judo è uno sport relativamente poco conosciuto, considerato uno sport minore e di conseguenza non c’è nessun interesse economico da parte di sponsor o politici .
Dunque cosa si può fare annullare questa spirale di odio razziale che sta colpendo il nostro paese?
Una possibile soluzione potrebbe essere quella di discuterne a scuola, insieme agli studenti, intrattenendosi in veri e propri dibatti ,la scuola è un luogo fertile, nel quale il razzismo si sta diffondendo rapidamente.
I mass media ,responsabili in parte della diffusione di questo fenomeno, potrebbero contenersi nel dire, nello scrivere cose che possano suscitare reazioni poco amichevoli dei cittadini.
L’unica cosa di cui sono sicuro però, e che, continuando cosi, l’Italia sta condannando se stessa ad un futuro peggiore di quello che sta vivendo in questo momento…
Questo dibattito è stato ,per me, un’esperienza sicuramente positiva in quanto mi ha aperto gli occhi su alcune questioni sociali e politiche di cui ero completamente all’oscuro e di cui è positivo approfondire le mie conoscenze.
Il dialogo sicuramente aiuta a far emergere positività e negatività che messe a confronto, mescolate, amalgamate sicuramente riusciranno a portarci ad una pur non facile soluzione.
Quello che vorrei dire per concludere è:” Continuiamo a parlarne.”